UNA GIORNATA TRA LE NUVOLE: L’ASPRINIO E LA VOGLIA DI RISCATTO

UNA GIORNATA TRA LE NUVOLE: L'ASPRINIO E LA VOGLIA DI RISCATTO
INTERVISTA A VITEMATTA

INTERVISTA A VITEMATTA

Di Gianni Russo

A volte è strano pensare come sia possibile avere delle splendide realtà, a due passi da casa, e non essersene praticamente mai resi conto.

A riparare al danno ci ha pensato Vincenzo Letizia, che gestisce le cantine VITEMATTA a Casal di Principe, nell’Agroaversano.

Vincenzo ha aperto le porte dell’azienda in via eccezionale, visto che veniva da giornate intense per via del Concours Mondial de Bruxelles, svoltosi fino al giorno prima in località Agerola, in provincia di Napoli.

L’accoglienza è quella tipica e calorosa del Sud; gentilezza e passione caratterizzano Vincenzo, che inizia ad illustrarmi quella che sembra essere diventata, a tutti gli effetti, una famiglia.

L’azienda è relativamente giovane, ma fonda radici solide in secoli di storia di un vitigno come quello dell’Asprinio, che da raccontare avrebbe veramente tanto.

Ma andiamo per gradi…

UN PO’ DI STORIA

Con tanti secoli di storia, certo non potevamo aspettarci di avere una sola versione riguardante la spumantizzazione dell’Asprinio.

La più curiosa vedrebbe l’Asprinio come parente dei ben più famosi pinot francesi: sarebbe un biotipo importato dalla Francia sotto la corte del sovrano Roberto D’Angiò, che incaricò il proprio cantiniere, Louis Pierrefeu, di individuare un vitigno e una zona vocata dove produrre spumante, in sostituzione di quello francese che, ai tempi, risultava di difficile reperimento, per via delle enormi distanze.

Per le condizioni climatiche e per la ricchezza dei terreni, appena a nord dei Campi Flegrei, venne individuato il territorio dell’Agroaversano come degno pretendente.

L’Asprinio, in realtà, di suo aveva già la spiccata acidità che sarebbe servita.

Altra ipotesi, ben più credibile, vedrebbe il popolo etrusco anticamente capace di addomesticare queste viti selvatiche, utilizzando pioppi come sostegno: da qui l’uso della “vite maritata”, allevamento che ritroviamo ancora oggi, con alberate che raggiungono anche i 20 metri di altezza.

L’ASPRINIO

Se invece volessimo consultare tutte le testimonianze scritte che parlano di questo vitigno, allora potremmo trovare anche riferimenti a Plinio il Vecchio, il quale avrebbe avuto numerose vigne di Asprinio e, stando ai testi consigliati da Vincenzo, già lo stesso noto autore romano scriveva di quanto difficoltosa e pericolosa fosse la vendemmia, che vedeva i contadini, qui chiamati “uomini ragno”, fare ausilio di scale alte quanto le alberate, chiamate “scalilli”, attagliate alla singola persona.

Interessante anche sapere di come Plinio riconoscesse questa enorme difficoltà, offrendosi di pagare il funerale alla famiglia del contadino che, malauguratamente, avesse perso la vita cadendo dalle altissime alberate.

Non siamo a strapiombo sul mare, né su terreni ripidi, ma la viticoltura dell’Asprinio può essere, a tutti gli effetti, considerata eroica.

Tante sono le testimonianze riguardanti questo vitigno, cosi come tante, sono le persone che ne hanno lasciato traccia, come in una lettera della regina Carolina, in cui la sovrana alludeva ad una ” terra promessa con festoni di viti attaccati agli alberi “; fino ad arrivare ai giorni nostri, con persone del calibro di Mario Soldati che definisce l’Asprinio “grande piccolo vino”, oppure “non c’è bianco al mondo cosi assolutamente secco come l’Asprinio”; fino ad arrivare a Veronelli, che lo dipinge come “allegro, leggero, brioso”.

Vincenzo Letizia, titolare di VITEMATTA

L’INTERVISTA

Torniamo al presente, e una domanda sembra doverosa farla, anche se potrebbe sembrare scontata: cos’è VITEMATTA?

“Noi nasciamo nel 2005 con EUREKA, una cooperativa sociale, che nel 2009, vede affidarsi 2 terreni confiscati alla criminalità organizzata, nasce così l’idea di creare VITEMATTA, progetto sociale sostenibile a filiera chiusa, una delle prime cooperative in Italia a riuscirci. Questo mi ha permesso di indossare i panni del viticoltore, lavoro che oggi svolgo per passione e rispetto del territorio. Siamo oggi un’azienda che lavora nel completo rispetto dell’ambiente, e grazie anche alle moderne tecnologie, andiamo a interagire sui vigneti solo quando effettivamente ce n’è bisogno. Abbiamo aderito e firmato il manifesto SLOWINE, possediamo pannelli solari, che non solo ci permettono di autosostenerci, ma immettiamo in rete anche una certa quantità di energia pulita, siamo dotati di sistemi di filtrazione che ci portano a zero come produzione di materiali di scarto. La cooperativa, inoltre, include nel suo team persone svantaggiate nell’ambito della salute mentale, con il fine di contribuire al loro percorso di emancipazione. Da qui il nome di questo progetto.”

NON SI É MAI GRANDI ABBASTANZA…

Siamo a Casal di Principe e come fossero piante ornamentali di un qualunque giardino, tra le strade del tragitto che si percorre per arrivare ai vigneti, a ridosso di proprietà private, è possibile vedere alberate ultracentenarie, che sembrano quasi monumenti.

Vincenzo da buon Cicerone le fa notare tutte e, nel frattempo, mi parla delle avversità climatiche che hanno dovuto superare nella scorsa vendemmia, che li ha visti destreggiarsi tra grandinate e qualche bufera. Eventi che hanno arrecato non pochi danni ai vigneti, tra cui quelli bassi letteralmente piegati e le alberate con i pioppi spezzati.

Io sono cresciuto nelle vicinanze, ma un’alberata non l’avevo mai vista.

Non vi nascondo che di foto ne ho fatte parecchie e, nel frattempo, pensavo a quanto sarebbe stato bello fare qui dell’enoturismo, di sicuro diverso dai soliti a cui siamo abituati: qui lo sguardo si perde in questa perfetta regolarità, ma con dei “muri verdi”, che trasmettono senso di pace e di benessere interiore.

Non c’erano scalilli appoggiati alle alberate, né persone che raccoglievano uva. Eppure, per qualche secondo, immaginarsi quella scena accadere davanti ai propri occhi non è stato difficile; che bella storia la meraviglia e le sensazioni che suscita.

Qui, tra vigneti bassi ed alberate, il periodo di vendemmia varia sensibilmente: viene effettuata durante la terza decade di agosto per i primi, le cui uve vengono adoperate per le basi spumante; successivamente, viene effettuata la vendemmia delle alberate che, aiutate dalle altezze e da una migliore esposizione, permettono di ottenere la produzione di vini fermi grazie ad uve che hanno raggiunto uno stato di maturazione ottimale.

Vincenzo sulla questione alberate mi interrompe e mi parla del lavoro che si sta facendo con il consorzio, riguardo la possibilità dell’inserimento in etichetta di un simbolo, che permetta al consumatore di riconoscere immediatamente la provenienza di coltivazione, sia essa da alberate o meno.

Tra ceppi centenari, ed “enormi lenzuoli fioriti”, Vincenzo mi fa notare

Che, nel frattempo, il sole inizia a “picchiare”. È il momento di ritornare in azienda dove, in un certo senso, mi aspettava una sorpresa.

Una sorta di “percorso Kneipp”: dai 30 gradi esterni vengo catapultato in una grotta di tufo sotterranea, ad una profondità di almeno 12-13 metri e, probabilmente, un’escursione termica di oltre 15 gradi.

l’Agroaversano è pieno di queste grotte: qui affinano i vini e le botti riposano, in attesa di essere pronte.

LA DEGUSTAZIONE

Risaliamo la ripida scala e, per concludere questa bellissima esperienza, non ci facciamo mancare qualche degustazione, senza esagerare.

Sì, perché VITEMATTA ha una linea molto completa, che abbraccia vini come Falanghina, Aglianico e Camaiola.

LA DEGUSTAZIONE

Servirebbero altri due articoli per raccontarli tutti e lo stesso Vincenzo afferma che forse sono pure troppi.

Si parte da “Marhitate” Asprinio, metodo Martinotti (o detto “metodo italiano”); passando per il “Pietrabianca”, proveniente da alberate che ha ottenuto già parecchi riconoscimenti; il “Femmen”, col fondo; i metodo classico “Il Principe” e “Radice Etrusca” e, perchè no, anche un passito.

Davanti a questo enorme dipinto che è l’alberata, come procede Vitematta nella vendemmia? Pensi che una raccolta per differenti stadi di maturazione, possa regalare un prodotto di maggior pregio?

Sicuramente i grappoli, disposti a diverse altezze, hanno gradi di maturazione differenti, dovuti appunto alla diversa altezza ed alla relativa esposizione solare. Nella parte bassa troviamo più acidità e minore grado alcolico; viceversa per i grappoli più in alto. Nel nostro caso, in momento di vendemmia procediamo in modo totale, evitando di fare stratificazioni, principalmente per motivi dovuti ai costi, che già sono abbastanza alti. La raccolta per stratificazione sicuramente infonderebbe più personalità, ma andrebbe a far lievitare questi costi e, di conseguenza, il costo finale della bottiglia, ponendola in una fascia che non è quella media del territorio.

In un mondo come quello di oggi, dove sempre meno gente “resiste” alla tecnologia, e dove il lavoro nei campi non è più la priorità, come vedi il futuro per l’Asprinio e per la vite maritata?

Il discorso è assai complesso. Io appartengo alla vecchia guardia, figlio di quei tempi in cui non ci spaventava nulla, dove sognare era gratuito e tutto era possibile, se alla base c’era passione. Oggi le ambizioni sono diverse e chiedere a dei giovani di arrampicarsi su scalilli per 8-10 metri risulta non proprio facile. Ci sono tanti fattori da tenere in considerazione:

la vite maritata esige coraggio e fatica; la manodopera per questo tipo di allevamento, scarseggia sempre più; i sistemi di sicurezza che hai sullo scalillo sono solo le tue mani e una presa salda. Diverso è invece se parliamo di vendemmie con piattaforme aeree, dove da un lato strizzi l’occhio alla sicurezza, dall’altro, invece, chiudi le porte a storia e tradizione.

Siamo in quel momento storico in cui alcune vigne lasciate in eredità vengono tenute in vita in onore di genitori, che lì ci hanno lasciato cuore e sudore. Al termine di questo ciclo, chissà…

LE PUPITRE
Metodo classico, metodo italiano: non pensi che la rifermentazione in bottiglia possa snaturare troppo un’identità territoriale quale quella dell’Asprinio?

L’Asprinio non va assolutamente snaturato. Non è la rifermentazione in sé che va a snaturare il prodotto, ma la durata della sosta sui lieviti. Noi per pura curiosità abbiamo fatto delle prove a 48 e 60 mesi, ma sono rimaste prove: la direzione che avevamo intrapreso non era quella richiesta dall’Asprinio. La nostra sosta è breve, appunto per garantire una piena identità territoriale del prodotto. La forza dell’Asprinio è la sua nota agrumata e nel momento in cui fai prevalere la nota derivante dai lieviti, allora stai sbagliando qualcosa.

L’IMMAGINAZIONE FA BRUTTI SCHERZI…

Una cosa è certa, ora passerò il resto della mia vita a pensare che, probabilmente, Peter Parker fosse originario di Caserta e che, in qualche modo, bisognerebbe informare Max Pezzali che l’uomo ragno non è morto, ma si è semplicemente ritirato in campagna.

Come biasimarlo: dopo una vita in città, tra grattacieli e caos, si sarà semplicemente stancato, accorgendosi che bastava sostituire le alte pareti di mattoni con ben più scenografiche pareti naturali ed ottenere quella pace e quel contatto con la natura, che di sicuro sarebbe difficile trovare tra le strade di una città. E magari, chissà, le ragnatele ai pioppi si attaccano anche meglio.

L’Asprinio, per suo conto, ce la sta mettendo tutta, così come il cuore dei tanti appassionati che continuano a farlo conoscere al mondo. Perché mai dovremmo perdere un patrimonio così inestimabile del mondo enologico?

Quanti vitigni possono vantare una storia così lunga e così avvincente? Ma, soprattutto, sarà vero che i francesi lo acquistavano anonimamente per tagliarci i loro champagne?

Troppe domande, ho bisogno di un calice. Un Asprinio grazie!