Di Francesco e Marco Ranchella
Siamo lieti di condividere con voi la nostra incredibile scoperta!
Tutto iniziò nell’ormai lontano 2005, quando in un bosco del Trentino a 800 mt. slm trovammo una vite arrampicata su un abete. Da qui iniziò la nostra avventura e la nostra piccola rivoluzione agricola.

Il ritrovamento
Il nostro tesoro si trovava sperduto nei boschi di Castel Condino, un piccolo paesino del Trentino situato a sud di Madonna di Campiglio lungo la Valle del Chiese.
Era una bella giornata di agosto quando camminando per quei boschi, trovammo un rampicante che saliva per oltre 10 metri su un albero di abete. Si scorgevano pendere dai rami dei bei grappoli di uva rossa e così, incuriositi dal luogo remoto in cui cresceva questa vite, ci arrampicammo per assaggiarla. Con nostra sorpresa, nonostante il luogo ombreggiato, l’uva aveva un sapore molto zuccherino e la sua polpa tintoria macchiava di rosso qualsiasi cosa. La nostra incredulità fu vedere come una vite, abbandonata in un bosco, poteva crescere rigogliosa senza nessuna cura né trattamento e portare a frutto un’uva così sana e buona. La vite non assomigliava a nessuna varietà che conoscevamo, per questo pensammo di portare a Roma qualche tralcio, anche se il periodo non era quello giusto per poterla innestare o moltiplicare. Arrampicati con difficoltà sull’albero e senza i dovuti attrezzi per poter tagliare i tralci, con un coltellino svizzero recidemmo alcuni preziosi rametti, che conservammo avvolti in uno straccio bagnato fino al nostro ritorno a Roma.
Il trasferimento della pianta a Grottaferrata
La nostra casa si trova a Grottaferrata un paese a sud di Roma a 400 mt. slm, qui con molta cura e attenzione provammo a piantare in vaso le preziose reliquie conservate nel viaggio. Fu tutto molto difficile e addirittura un giorno tornando a casa, trovammo la nostra cagnolina Lalla che stava rosicchiando le talee appena piantate, ma forse chissà, tutto faceva parte di un grande disegno.
Scoraggiati dall’apparente fallimento, ci promettemmo di tornare in quei boschi in un periodo migliore per il prelievo dei tralci, ma madre natura ci sorprese, in primavera una delle talee rosicchiate aveva prodotto un piccolo germoglio e quindi delle radici! L’entusiasmo era alto, anche se effettivamente non sapevamo ancora cosa avessimo sotto gli occhi. La piccola talea crebbe, donandoci ogni anno delle magiche foglie rosso amaranto durante l’autunno.


L’intuizione
Arrivati fin qui un forte dubbio iniziava a sorgerci in testa, le viti, che oggi si coltivano, sono quasi sempre innestate su una vite selvatica in genere americana, perché con l’arrivo della fillossera a fine ‘800, un piccolo insetto che mangia le radici delle nostre viti europee, non fu più possibile coltivarle con le loro radici native.
Per questo motivo, praticamente tutto il vino che beviamo (oltre il 95%), è ottenuto da Vitis Vinifera (le cultivar Europee) innestata su piede americano resistente a questo insetto. In questo modo si ottiene una pianta ibrida composta dalla chioma Europea e dalle radici Americane, un bel sistema per poter far sopravvivere le specie Europee altrimenti condannate all’estinzione. Da qui decidemmo di innestarla, ma non è proprio così immediata la questione, esistono centinaia di incroci e viti selvatiche diverse, quindi quale scegliere? Convinti del fatto che la madre della nostra vite nel bosco aveva per forza di cose un portinnesto, decidemmo di tornare in quei boschi del Trentino per cercare di capire quale fosse e magari prelevarne una talea.
La scomparsa della vite originaria
Tornati in quei boschi, la delusione più grande… Il bosco era stato tagliato e la nostra amata vite tagliata alla base e seccata per sempre. Capimmo immediatamente di avere quindi una grande responsabilità per la sopravvivenza di quella vite, ma non avremmo mai saputo come era stata piantata. Cominciammo a fare le prime prove di ripropagazione dai tralci ottenuti dalle potature e ci accorgemmo che i migliori risultati si ottenevano piantando la vite a piede franco, ossia con le sue radici naturali. La nostra pianta madre crebbe e ad oggi dopo oltre 16 anni, gode ancora di piena salute e sembra mostrare caratteri di resistenza alla fillossera.
La creazione delle stesse condizioni originarie
Incoraggiati da questi risultati provammo a ricreare le condizioni in cui nel bosco la vite cresceva spontaneamente, senza effettuare quindi nessun tipo di trattamento fitosanitario che oggi in genere si effettua sulle viti Europee. Abbiamo inoltre deciso di non effettuare lavorazioni al terreno, proprio come madre natura faceva nel bosco. Le malattie più comuni, oidio e peronospora, che affliggono le viti oggi coltivate, non sembravano attaccare la nostra vite, nonostante non fosse in alcun modo trattata. Per questo la coltivazione della nostra vite, al fine di produrre vino, ha un impatto con l’ambiente uguale a Zero.


I primi grappoli
Trascorsi tre anni circa, finalmente i primi grappoli! Erano esattamente come li ricordavamo, piccoli e con la polpa tintoria, un’uva già di per sé abbastanza rara, visto che la maggior parte delle uve a bacca rossa possiedono una polpa incolore o quasi. In molti diedero il loro giudizio su che tipo di vite fosse, ma nessuno riusciva con precisione ad identificarla. C’era chi diceva fosse una varietà, chi un’altra e chi una vite selvatica. Qualcuno ipotizzò addirittura che visti gli esili grappoli non sarebbero mai arrivati a maturazione. Caparbi e sicuri di ciò che avevamo visto nel bosco, continuammo la sperimentazione. I grappoli crebbero e raggiunsero una maturazione oltre le aspettative, a fine agosto infatti il grado zuccherino arrivava a 26 gradi Brix, restituendo un vino di oltre 15 gradi alcolici!

Il vino
Il vino, che meraviglia! Aveva un bouquet molto complesso, al naso restituiva profumi di liquirizia, amarena, humus e miele. L’assaggio confermava la complessità dei profumi, scorgendo inoltre note di luppolo, struttura predominante e ottima presenza tannica. Le radici native della nostra vite restituivano delle complessità nel vino, non riscontrabili nelle viti innestate con piede americano.
Ora la domanda delle domande: era una varietà nota oppure no?
La ricerca
Non trovando risposte locali, forse anche perché era una vite prelevata nei boschi del Trentino, decidemmo di effettuare delle analisi genetiche. Inviammo dei campioni presso i laboratori della FEM2-Ambiente, laboratorio accreditato dall’Università degli Studi di Milano-Bicocca, alla ricerca di una identificazione. Oggi grazie agli esami genetici sulla vite è possibile identificare con precisione a quale varietà appartiene una vite ignota, o quale siano eventualmente i suoi genitori. Senza entusiasmarci troppo, viste anche le migliaia di viti esistenti già registrate a catalogo, attendemmo con ansia i risultati. Dopo quindici giorni, il risultato…
Il riscontro inaspettato
“Buongiorno Sig. Ranchella,
in allegato troverà il referto delle analisi effettuate sul suo campione.
Le anticipo che il confronto con le banche dati internazionali non ha restituito nessuna corrispondenza con le varietà depositate.
Cordiali saluti”
Entusiasmati più che mai dal risultato e ripagati dall’enorme impegno dedicato finora, decidemmo di approfondire le ricerche presso il CREA-Centro di ricerca per la viticoltura e l’enologia di Conegliano (TV), dove l’esperto dott. Daniele Migliaro espanse la ricerca. Non fu trovata anche in questo caso nessuna varietà con il nostro profilo genetico, ma approfondendo la ricerca fu trovato uno dei genitori della nostra vite, il Carignano. Il Carignano è una Vitis Vinifera originaria della Spagna, oggi ampiamente coltivata in Sardegna. Avevamo un genitore (il padre o la madre) ma mancava l’altro, ad oggi non è stato ancora trovato, l’unica cosa che sappiamo è che l’altro genitore è probabilmente una vite selvatica, la quale fornisce alla nostra vite tutti i caratteri di resistenza alle malattie. Un incrocio, dunque, fra il Carignano e una vite selvatica ignota, facendo entrare così la nostra vite a far parte delle PIWI, un acronimo tedesco che indica le varietà di vite resistenti alle malattie funginee. Un regalo di madre natura o una vite dimenticata nei secoli? Probabilmente non lo sapremo mai.
Una nuova vite PIWI, resistente naturalmente alle malattie funginee
Sicuri dell’esclusività decidemmo di iscriverla nel Registro Nazionale delle varietà di vite, e iniziato l’Iter dopo 3 anni di attente caratterizzazioni sulle piante abbiamo ottenuto a Febbraio del 2021, l’iscrizione e la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, come “Ranchella N.” con codice 928.
È per noi un grande onore che questa vite porterà per sempre il cognome dei due fratelli, Francesco e Marco, che l’hanno scoperta!
Si ringraziano per la collaborazione e il sostegno:
dott. Carmelo Zavaglia, dott. Daniele Migliaro, prof. Fabio Mascioli, dott. Marco Stefanini
Per ulteriori info:
Cantina Fratelli Ranchella

