Pinte Di Cinema: Swiss Army Man & Trillium

Di Giulio De Arcangelis

Questa rubrica nasce per un bisogno, per me ormai impellente, di creare dei nuovi abbinamenti (o, quantomeno, dei suggerimenti). Ma i protagonisti in questione non saranno due pietanze che andranno a creare un sapore sconosciuto, o un vino che si sposerà perfettamente con un piatto. No, in questa rubrica tenterò l’impresa di segnalare un bel film da guardare e una grande birra da gustare durante la visione. Spero che gli abbinamenti che compariranno da qui in avanti possano regalarvi un’esperienza visiva e gustativa degna di queste poche righe…

N.B.    Le selezioni che propongo comprendono titoli di film e prodotti birrai che ritengo validi, interessanti o peculiari. Dunque non ci saranno votazioni finali. Ciò che segnalo ritengo semplicemente che sia più che degno di essere visto e bevuto.

Serie 1 – Episodio 2: Swiss Army Man & Trillium Twice The Daily Serving (black currant, blackberry, boysenberry)

SCHEDA FILM

Titolo: Swiss Army Man

Regia: Dan Kwan & Daniel Scheinert

Genere: Drammatico, commedia, avventura, grottesco

Anno: 2016

Paese di produzione: Stati Uniti d’America

Durata: 97 min

Trama

Swiss Army Man è un film assurdo. E quando dico assurdo non intendo l’aggettivo come sinonimo di fantastico o incredibilmente bello. In questo caso il senso è strettamente letterale, perché sto parlando di un film grottesco nella sua fantasia, e che pesca dalla fonte della follia a piene mani. La scena introduttiva ne è manifesto. È proprio qui, su un isolotto deserto, che lo spettatore fa la conoscenza di Hank (Paul Dano), naufrago e unico sopravvissuto a un qualche tipo di disastro che, con un cappio di fortuna, sta per farla finita. Non fosse che, un attimo prima di impiccarsi, la sua attenzione viene rapita da un suono intimamente familiare ma che probabilmente è l’ultimo che ci si aspetti di sentire in una situazione simile: una flatulenza. E volgendo lo sguardo verso la battigia ne scopre anche la fonte, di quella flatulenza. È un corpo, forse un cadavere, di un ragazzo (Daniel Radcliffe), che viene mollemente riportato a riva dalle onde. Ma non appena Hank raggiunge questo corpo esanime, scosso da una tempesta di gas interni e dal colorito di uno che la vita l’ha salutata già da tempo, vedrà in esso una speranza di salvezza, tanto da buttarcisi in groppa e iniziare a cavalcarlo come una moto d’acqua umana alimentata naturalmente a metano.

Della trama non dico altro, se non che è la storia avventurosa di un quasi morto e un semi-morto, (che poi, chi sia più deceduto tra i due è proprio il gioco della morale del film) che si scoprono indispensabili l’uno per l’altro. Due personaggi alla ricerca della salvezza e di un ritorno a una dimensione di apparente normalità, che però forse non è quella di cui si ha bisogno, ma semplicemente quella a cui si è abituati.

Recensione

Ecco, detto così sembra una peste da evitare. L’ennesimo film idiota di cui si può tranquillamente fare a meno. Ma non è così, anzi. il film degli esordienti Dan Kwan e Daniel Scheinert, più semplicemente detti The Daniels, è semplicemente sorprendente. Una pellicola che dimentica una narrazione convenzionale, accompagnata da una regia viva e una bella fotografia, e che nella sua triviale follia riesce a costruire una delicata magia alchemica, che tocca le corde più sensibili dello spettatore, trattando inaspettatamente temi profondi che danno un senso all’esistenza. Di fatti è stato il film rivelazione del Sundance Film Festival 2016.

Che poi, tutto bellissimo, ma grande merito della riuscita di questa ambiziosa operazione sta proprio nei due protagonisti: Daniel Radcliffe che, smessi i panni del maghetto, interpreta un personaggio-oggetto dalle mille risorse; non a caso il titolo fa leva su un gioco di parole, visto che lo Swiss Army Knife altro non è che il coltellino svizzero multiuso. Radcliffe si è ampiamente dimostrato attore capace, versatile e originale (non è da tutti interpretare un mezzo zombie “scoreggione” senza farlo diventare un personaggio volgare da cinepanettone). E un Paul Dano che conferma ancora una volta il suo talento cristallino, ancor più evidente di un volto dai tratti unici: quella che in gergo si chiama la faccia da cinema. E proprio Dano ha rivelato di essere stato conquistato dal progetto grazie alla sinossi della coppia di registi, che recitava: “è un film la cui prima flatulenza ti fa ridere, l’ultima ti fa piangere”.

Chi avrebbe resistito?

SCHEDA BIRRA

Nome: Twice The Daily Serving (black currant, blackberry, boysenberry)

Birrificio: Trilliumhttps://www.trilliumbrewing.com/

Genere: Berliner Weisse

Alc. 7 % vol.

Luppoli: CTZ
Malti: American 2-row Barley, Acidulated Malt, Honey Malt, White Wheat, Flaked Wheat

Paese di produzione: USA – Canton, MA

Come è difficile resistere a una birra altrettanto sorprendente. Il prodotto in questione è la Twice The Daily Serving di una perla made in USA come Trillium, birrificio fiore all’occhiello della cittadina di Canton, Massachusetts. Trillium ormai da diversi anni è sulla cresta dell’onda schiumata, fregiandosi meritatamente del vessillo dalla forma luppoloide. Infatti il birrificio ha cavalcato con maestria la rivoluzione della “nuova era”, specializzandosi nella produzione di IPA nelle varianti New England, Vermonth, Juicy e DDH (double dry hopping – ovvero una doppia luppolatura a freddo) e chi più ne ha più ne metta perché la differenza tra queste denominazioni è ancora parecchio labile.

Ma Trillium non è solo luppolo, infatti quella che consiglio di gustare di fronte a un film anomalo come Swiss Army Man è una birra anomala. La Twice The Daily Serving nella sua versione con ribes nero, mora e boysenberry (ibrido boschifero tra mora e lampone) è catalogata come una berliner weisse: quindi una birra di frumento ad alta fermentazione, di provenienza germanica, con caratteristiche beverine, fragranti e piuttosto acidule per l’uso di lieviti e lattobacilli. Ma questa birra va totalmente fuori stile. Gliene vogliamo fare una colpa? Non sia mai, anche perché tutti i suoi “difetti” sono effettivamente i suoi punti di forza.

Recensione

A partire da una gradazione alcolica non di poco superiore alla media di stile (4/5% vol); contando ben 7 questa berliner ha un corpo importante, che peraltro ben si accompagna alla sensazione vellutata del frullato di frutti di bosco che esplode non appena si apre la lattina. Al naso non pervengono le note fragranti e citriche delle classiche berliner weisse, ma l’olfatto viene sconvolto da questa botta di frutto di bosco che rimane persistente e stimola l’acquolina. All’assaggio non sembra neanche di assaporare una birra, quanto invece una delle marmellate fatte in casa dalle nonne di un tempo passato.

Poi si sa che gli americani sono esagerati in tutto: nel caso specifico le berliner weisse hanno assunto nel tempo la particolarità di essere brassate con aggiunta di frutta perché originariamente, nelle vecchie birrerie della capitale tedesca i boccali di fermentato al frumento venivano tagliati con succo di asperula o di lampone. Mentre questa versione della Twice The Daily Serving si dimentica dell’eleganza delle sue antenate, per strizzare l’occhio ai milkshake d’oltre oceano, ma nonostante tutto l’esperienza gustativa rimane interessante e particolare. Proprio come il film che scorre davanti agli occhi mentre la bevete.