I grandi vini Laziali si presentano a Only Wine Festival
Articolo scritto da Saula Giusto
Il 28/04/2019, nel corso dell’ultimo giorno della bella manifestazione Only Wine Festival, presso la Sala degli Specchi di Palazzo Bufalini di Città di Castello si è svolta una interessante Masterclass, condotta da Maurizio Dante Filippi (AIS Terni, Miglior Sommelier D’Italia 2016) e da Chiara Giannotti (Vino.tv e Radio Food). E’ stato possibile degustare 5 vini che riescono ad esprimere la tipicità del Lazio, nelle sue varie sfaccettature, alla presenza di 5 rappresentanti delle relative aziende produttrici.
I vini in degustazione:
NETHUN 2018 (vermentino) – Cantina Muscari Tomajoli; CLETO 2017 (grechetto) – Cantina Emiliano Fini; BELLONE 2016 (Bellone) – Cantina SanVitis; CESANESE DI OLEVANO 2015– Cantina SanVitis; SE BO BE BI 2017 (malvasia puntinata passita) – Cantina Le Macchie.
Attraverso i vini degustati ed i rappresentanti delle aziende presenti, è stato molto interessante rilevare, una volta ancora, che la viticoltura laziale, sempre così poco premiata da critica e consumi, sia in realtà sorprendente sia sotto il profilo qualitativo, che per la differente caratterizzazione e personalità che le differenti zone produttive hanno la capacità di realizzare. Anche grazie agli interventi fattivi di Maurizio Dante e di Chiara, che hanno aperto una proficua discussione con le aziende presenti direttamente coinvolte nel discorso, si è sottolineato, una volta ancora, come la ricchezza del patrimonio vitivinicolo laziale non sia conosciuto (in Italia ma anche a livello internazionale) in modo proporzionato rispetto al reale valore.
Questo nonostante le produzioni di qualità sempre maggiori ed i riconoscimenti crescenti anno dopo anno! Si deve inoltre affermare, con grande forza, che le tipicità e particolarità della produzione laziale sono importanti ed hanno radici storiche profonde ed antiche, anche se sconosciute ai più. Il Lazio, bisogna ricordarlo, caratterizzato da un territorio eterogeneo, incuneato tra mare, colline, pianure e vulcani spenti, è in realtà una delle regioni italiane più vocate per la viticoltura. E’ un territorio soprattutto collinare, con laghi che occupano antichi crateri vulcanici e con condizioni pedoclimatiche molto varie, che creano anche grandi escursioni termiche. Quello che rende il Lazio speciale per la viticoltura è, inoltre, anche la ricchezza e la diversità dei suoi terreni, così ricchi di materiali minerali e così differenti da zona a zona, anche a distanza di pochi chilometri.
Chiara, nel corso della degustazione, ha inoltre sottolineato come nel Lazio si sia sviluppata, soprattutto negli ultimi anni, l’opera di interpreti importanti capaci di valorizzare pienamente la qualità del vino prodotto e di determinare una vera e propria rinascita della viticoltura.
La produzione di massa, figlia del secondo dopoguerra, affidata prevalentemente all’opera delle cantine sociali, ha grazie al cielo lasciato il posto ad una viticoltura di qualità, che sempre più si caratterizza per le rese contenute, la riscoperta dei vitigni autoctoni, la ricerca delle zonazioni e l’elevato standard qualitativo.
A questo si aggiunga la “buona novella” data dall’affacciarsi di tanti giovani produttori al mondo vitivinicolo laziale che, con passione, impegno ed anche, direi, tanta sacrosanta caparbietà, sono determinati a valorizzare i vitigni autoctoni laziali e le aree produttive relative, al massimo delle loro potenzialità e caratteristiche peculiari.
Abbiamo potuto ben apprezzare la qualità e le differenti sensazioni e caratteristiche dei vini in degustazione, grazie anche alla competente conduzione di Maurizio Dante Filippi e Chiara Giannotti che, ognuno con la propria personalità e nel proprio stile, ci hanno accompagnato in questo breve “viaggio” organolettico tra la viticoltura laziale.
Muscari Tomajoli – http://www.muscaritomajoli.it/
L’azienda nasce nel 2007 da un’idea di Sergio Muscari Tomajoli, che, dopo aver effettuato un’analisi del terreno e del clima, con l’aiuto dell’enologo Gabriele Gadenz, decise di piantare 2 ettari di vigneto suddivisi in 5 varietà selezionate: Montepulciano, Petit Verdot, Alicante Bouchet, una piccolissima quantità di Barbera e Vermentino (un clone della Corsica, vista la medesima latitudine dei territori). I vigneti godono di un’ottima posizione poichè situati in zona collinare e a poca distanza dal mare (nelle giornate terse si vede l’Argentario ed il profilo dell’isola di Giannutri), non lontano da Tarquinia.
Oggi è il giovane figlio Marco, diplomato sommelier Ais, che porta avanti il progetto con grande passione e totale impegno (anche personalmente in vigna!), presente in sala a rappresentare e raccontare la propria azienda. La filosofia aziendale si basa sul rispetto della vite, del suo ciclo naturale e del prevalente lavoro nella vigna, valorizzato da potature estreme e bassisime rese. Viene anche escluso totalmente l’uso di diserbanti chimici e vengono, se possibile anche esclusi i concimi organici naturali (gli unici in ogni caso utilizzati) e dalle ultime annate sono stati sospesi anche i sistemi irrigativi. In cantina viene limitato al massimo l’uso di solfiti e, quando le perfette condizioni fermentative lo consentono, vengono utilizzati lieviti spontanei, al fine di ottenere la massima espressione dei vitigni, sempre con il preciso obiettivo di raggiungere la massima qualità. Marco ha deciso di creare una produzione di sole tre etichette, col fine di puntare tutto sulla grande qualità e su vini tutti giocati sull’eleganza e che vengono affinati unicamente in acciaio e bottiglia, per valorizzare al massimo le caratteristiche varietali.
I disegni presenti sulle etichette dei vini, che ho molto apprezzato, sono stati ideati e creati dall’artista Guido Sileoni.
Degustazione:
NETHUN 2018
Il nome Nethun richiama le origini etrusche del territorio ed il forte legame con il mare. Uve: 100% Vermentino; vinificazione: criomacerazione sulle bucce a 5 °C, successive 48 ore in decantazione a 2 – 3 °C; fermentazione a temperatura controllata di 16-17 °C con successiva conservazione, per 6 mesi, sulle fecce fini in vasche di accaio inox a 10 °C, senza malolattica; il vino viene poi stabilizzato ed l’imbottigliato, dopo circa 8 mesi dalla vendemmia.
Giallo paglierino luminoso, di buona consistenza. Al naso è intenso, fine ed affascinante: ai sentori tipici e varietali (di macchia mediterranea, salvia, timo, cedro poco maturo) e di ginestra, si accompagnano, con forza, sentori più originali salmastri, iodati e di minerale chiaro, come la ghiaia e la pietra focaia, che lo arricchiscono con eleganza. Bellissima la coerenza retronasale al palato, dove la ricchezza minerale sapida si esalta, garantita da un’ottima spalla acida, e da una finezza che si evidenzia in un finale lungo, netto ed estremamente pulito. Un vino che durerà a lungo, migliorando ancora di più nel tempo.
Emiliano Fini – https://emilianofini.it/
Azienda familiare, di 10 ettari, sita ai piedi del vulcano dei castelli romani, voluta ed acquistata nel 1988 da Anacleto Fini, il cui attaccamento ed amore per la terra derivava dal padre Sebastiano, già viticoltore. Il figlio di Anacleto, Emiliano, presente in sala come relatore, ha proseguito e realizzato i progetti paterni, creando una produzione di vino di qualità, in linea con i principi che da sempre animano il rapporto della famiglia con la propria terra.
La famiglia Fini ha sempre avuto rispetto per un territorio estremamente vocato, ricco di potenzialità derivanti dalle caratteristiche vulcaniche del sottosuolo, al fine di valorizzarne la tipicità. L’azienda si trova, infatti, ai piedi del grande territorio vulcanico dei Colli Albani, ed i vigneti sono siti su terreni unici, costituiti da piroclasti a consistenza tufacea (tufi con scorie e lapilli), sostanze che donano ai vini prodotti un’impronta minerale molto importante. In vigna viene adottata una potatura marcata, per garantire il naturale equilibrio e la salubrità della pianta e per creare basse rese, al fine realizzare un’elevata qualità delle uve in cantina. Le uve, attentamente coltivate e selezionate, sono Grechetto e Malvasia Puntinata del Lazio, autoctone e perfette per questo territorio.
Degustazione:
CLETO 2017
Il nome del vino in degustazione, Cleto, è un omaggio al fondatore dell’azienda: Anacleto Fini. Uve: Grechetto 100%; le uve, raccolte a mano e selezionate rigorosamente, vengono sottoposte a pigiadiraspatura e pressatura soffice; la fermentazione avviene in acciaio a temperatura controllata; la maturazione prosegue sulle fecce fini in vasche di cemento per 7 mesi; segue affinamento in bottiglia.
Naso intenso, di buona ampiezza, molto giocato su note di frutta dolce ed integra, in particolare una mela goden in macedonia con della frutta tropicale molto matura, a cui seguono fiori gialli estivi e qualche nota di erba aromatica. Al palato è saporito, rispondente, di corpo, morbido, pieno, lungo e da una sapidità sottile che rimane nel finale. Un vino pronto e molto versatile negli abbinamenti.
SanVitis – https://www.sanvitis.it/it/
A raccontarci l’azienda ed in sua rappresentanza, era presente in sala Giusy Ferraina. San Vitis è stata creata grazie ai tre amici Sergio Tolomei, Massimo Orlandi e Riccardo Bani (la famiglia di Massimo Orlandi è originaria di San Vito), tutti provenienti da diversi settori ed esperienze lavorative, uniti da una passione comune per il vino e per la sua convivialità a tavola.
All’idea dei tre amici si è unita la professionalità di Alfredo, viticoltore-ingegnere capace di unire al metodo scientifico l’amore per la viticoltura, in chiave moderna ed evoluta. SanVitis si propone proporre di riscoprire e valorizzare un territorio dalla storia millenaria e dalla tradizione vitivinicola ivi radicata, che è un insieme di ambienti naturali e culturali dalle molteplici contaminazioni. I terreni vitati di proprietà si trovano tra Olevano Romano ed Albano. I vitigni a bacca bianca, siti nei terreni della zona dei Castelli Romani, lungo le colline di Ariccia degradanti verso il mare, sono Bellone, Malvasia e Trebbiano. Sono vigne di circa quarantacinque anni, coltivate su argille sciolte, su cui insiste una bella brezza marina che rende le uve sane.
Ad Olevano Romano si coltiva invece il Cesanese piantato, più di cinquant’anni fa, su un terreno di argilla rossa e ricca e sullo stesso appezzamento si trovano piante, più recenti, di Cesanese, Bellone e Passerina (assieme ad una piccola parte di Cabernet e Petit Verdot).
La cura attenta dei vigneti, la selezione dei grappoli, le basse rese, i meticolosi controlli in cantina, sono l’obiettivo primario aziendale, a cui si aggiunge la pratica di una viticoltura naturale ed artigianale che tende a creare vini puliti, con bassi livelli di solfiti, dotati di molta personalità.
Degustazione:
BELLONE 2016:
Un vino antico e raro, direttamente ereditato dall’impero romano, “rieditato” in chiave moderna. Uve Bellone 100%; le uve, selezionate subiscono leggera macerazione a grappolo intero, pressatura e fermentazione a basse temperature; la malolattica viene svolta naturalmente; viene poi affinato per 8 mesi in vasche d’acciaio. Giallo dorato luminoso e consistente.
Naso evoluto, complesso, che a note di mela e buccia di pera mature, unisce sentori molto peculiati e curiosi di mandorla amara, corteccia, cereali e semi tostati, conditi da una leggera salvia. Al palato sorprende il corpo, il leggero tannino, la “masticabilità”, la rispondenza con il sentore di frutta secca, l’ottima spalla acida e la mineralità molto presente. Un vino particolare, che può essere abbinato a pietanze più complesse, carni bianche, agnello pasquale, come da antica tradizione.
CESANESE DI OLEVANO 2015
Cesanese di Olevano Romano DOC. Uve: Cesanese 100%; le uve subiscono macerazione, rimontaggio per 10-12 giorni e malolattica, svolta naturalmente in acciaio; affinamento per oltre 20 mesi in acciaio, a cui segue ulteriore affinamento in bottiglia per sei mesi. Rosso rubino pieno, unghia granato.
Naso intenso, cupo, di frutta scura matura, prugna, amarena e marasca, con la quale si fonde una ben presente nota selvatica, seguita da funghi, hummus, terra bagnata, rosmarino e polvere di cacao amaro. Al palato è meno “invadente” rispetto al naso: di corpo, morbido, dal tannino ben addomesticato, con una buona rispondenza di frutto ed una buona lunghezza. Un cesanese elegante, versatile negli abbinamenti con carni rosse e formaggi stagionati.
CANTINA LE MACCHIE – https://www.cantinalemacchie.it/
Abbiamo ascoltato il racconto di questa realtà di Castelfranco, Rieti, da Stefano Proietti, il responsabile commerciale. Questa azienda nasce grazie all’opera di Antonio Di Carlo la cui famiglia, negli anni ’60, viveva di agricoltura, vendendo olio e vino nell’osteria di campagna di proprietà (un locale, “La Foresta”, oggi noto in tutta la regione).
Il vino veniva prodotto da un piccolissimo vigneto, piantato dalla nonna di Antonio, che la famiglia avrebbe potuto eliminare in favore di una parte ristorativa ampliata, poichè, come da piano regolatore, risultava edificabile. In realtà i De Carlo decisero saggiamente di lasciare sopravvivere questo suggestivo vecchio vigneto, intervallato, come si faceva allora, da alberi da frutto ed in cui erano presenti vitigni di diverse varietà autoctone, tra cui soprattutto il Cesanese Nero. In passato questo vitigno era diffuso in tutto il reatino (è già presente nell’Annuario del Consorzio Agrario di Rieti dell 1879). Nel corso degli anni la superficie vitata è stata ampliata fino a 10 ettari, su terreni siti in zone assolutamente vocate, ad un’altitudine ragguardevole: si trovano tra i 610 e i 650 metri, tra la conca reatina e il Monte Terminillo e grazie a questo massiccio vengono protetti dalle correnti fredde. Il terreno, inoltre, è molto ricco di minerali, grazie a cui si possono ottenere, in collaborazione alle profique escursioni termiche giornaliere, vini freschi, sapidi, fini. La vicinanza del fiume Velino garantisce infine un ottimo equilibrio idrico. L’azienda ha molto valorizzato l’antico Cesanese Nero, ma ha anche piantato Montepulciano, Sangiovese, Merlot e, per i bianchi, Trebbiano, Malvasia, Gewürztraminer e Riesling Renano, operando scelte dettate non solo da tradizione e storia, ma anche dallo studio approfondito dei terreni e del particolare ambiente pedoclimatico: l’altitudine e le importanti escursioni termiche dettano regole rigorose per ottenere grande qualità!
Degustazione:
SE BO BE BI 2017 (malvasia puntinata passita)
Questo vino viene presentato dall’azienda come vino da meditazione. Uve: Malvasia 100%; le uve appassiscono in vigna, vengono raccolte manualmente nella prima decade di Novembre; subiscono una pressatura soffice e vengono fermentate a temperatura controllata per 15 giorni; il vino viene poi affinato per 18 mesi in caratelli da 100 lt e successivamente in bottiglia per 3 mesi.
Giallo dorato, leggermente virante verso l’ambrato, luminoso e consistente. Naso non esplosivo ma affascinante: molto presente la frutta secca (mandorle con la pellicina, noci, albicocche), alternata a sentori più curiosi di erbe aromatiche (salvia e maggiorana), il tutto condito da un miele scuro, di castagno, e da qualche nota di minerale chiaro. Al palato è molto interessante: morbido, dolce, setoso, molto rispondente nelle note aromatiche e minerali, colpisce per la buona freschezza, l’elegante mancanza di stucchevolezza e, soprattutto, per un finale pulito particolarmente sapido e lungo. Stimola abbinamenti curiosi e meno scontati, rispetto ad un vino passito classico: io azzarderei un formaggio di capra o un pecorino non stagionato.
Articolo pubblicato su Vino.tv il 04.2019