“Eravamo io, Chateau Latour, Mouton e Lafite Rothschild”

La Masterclass su Bordeaux 
Di Edoardo Fradeani

Sembra strano un mondo senza Gianni Minà, eppure questo titolo non vuole essere una mera citazione ai suoi incontri impossibili, ma più una constatazione di quello che può accadere a chi vuole fare informazione, a chi ha firmato per diventare un messaggero, o semplicemente a chi vuole raccontare a volte l’ordinario, o in questo caso, per un amante del vino, l’impossibile.

Sembra facile trovarsi di fronte al mito e molte persone continuano a metterci davanti il “magari potessi…”, ma poi raccontare quello che vivi è un altro paio di calici.

La Masterclass su Bordeaux 

Il 27 marzo a Roma presso l’enoteca Belsito di Maria Stella Pileggi, si è tenuta una Masterclass su Bordeaux con il relatore Marco Tonelli, esperto e profondo conoscitore della terra dei grandi Chateau.

In degustazione erano stati annunciati nove vini ma, con grande sorpresa, alla fine sono diventati sedici.

Appena arrivato all’enoteca l’occhio mi è caduto sulle bottiglie che avremmo degustato, notando che, all’oltre già annunciato Chateau Latour, si erano aggiunti i fratelli Mouton Rothschild e Lafite Rothschild.

Rimango un pò fermo di fronte a quel trittico leggendario, balbettando ad uno dei partecipanti se fossero stati messi lì per bellezza, e questa persona sorridendo mi ha confermato che l’avremmo bevuti tutti.

Comincia sin da subito una strana sensazione mista a eccitazione e preoccupazione; sembravo Carlo Verdone nelle sue classiche situazioni d’imbarazzo, con tanto di fazzoletto per asciugare il sudore dalla fronte.

Immaginate un appena diplomato sommelier di fronte ai tre Chateau più importanti della storia, quelli che Napoleone III classificò nell’esposizione del 1855 di Parigi come i più pregiati di sempre, anche se, per dovere di cronaca, Chateau Mouton Rothschild entrò nei fantastici cinque solo nel 1973.

Con finta calma mi siedo di fronte a svariati calici vuoti, attendendo quello che non avrei mai immaginato in vita mia.

“ll Salotto” dell’enoteca Belsito

Non è da tanto che frequento l’enoteca Belsito. Posso solo dirvi che se amate il vino non solo nella sua fase esplicativa, ma anche in quella più bella della condivisione, questo è il posto perfetto. Maria Stella Pileggi è la proprietaria, una di quelle donne che al primo sguardo ti fa capire subito il fatto suo.

Sommelier esperta, con svariati corsi e specializzazioni alle spalle, proprio qualche giorno fa ha ricevuto una tra le più prestigiose investiture, quella dell’Ordre Des Couteaux De Champagne.

Durante tutti questi anni Stella ha creato qualcosa di diverso, non solo un’attività commerciale fine a se stessa, ma un vero e proprio centro culturale.

A Roma questo una volta era all’ordine del giorno, ma adesso non c’è più il posto topico, frequentato da maestri o da filosofi, o dall’artista pazzo. Ma qui in qualche modo si respira quell’aria che tanto mi mancava.

Il concetto del salotto Belsito è quello di condividere tutte le espressioni del vino attraverso la partecipazione attiva di tutti i degustatori, certamente seguiti e instradati, ma protagonisti anche delle loro idee. Da sempre lo Champagne è stato centro nevralgico nelle serate romane di Belsito, ma da adesso in poi si tratteranno anche altri argomenti, e le sorprese saranno tante.

Un altro aspetto che mi ha colpito è  stato il non tralasciare nessun dettaglio, perché sì, mi sento a casa mia in un salotto, ma sempre con gente attorno dotata di una straordinaria professionalità, come quella dei ragazzi che lavorano all’interno di questo meraviglioso posto.

Grandi Bordeaux a confronto

La degustazione

Verrebbe un elenco lunghissimo perché sedici vini non sono pochi e il soffermarsi su ogni calice potrebbe essere didascalico, ripetitivo e forse banale. Quello che penso su Bordeaux non è propriamente l’esempio della bellezza assoluta, perché in qualche maniera ho trovato sempre un filo conduttore che si identifica in una continuità stilistica, che è un marchio di fabbrica di questa zona. Ogni volta che ho bevuto un bordolese vero, che sia stato anche da poche decine di euro, si riscontra quella perfezione fastidiosa, quest’ordine ben definito e scandito da un blend che dona vestizione e presentazione perfetta. Un ripetersi di frutta precisa, di spezia netta, e di un legno inconfondibile.

Marco Tonelli è stato magistrale in questo, nel non soffermarsi più di tanto su quello che il calice voleva raccontare, dando per scontato di stare davanti a gente che sapeva pedalare da sola; ma, soprattutto, dando più peso alle tecniche di vinificazione delle varie cantine, alle differenze tra sponda sinistra e destra di quella terra attraversata da un fiume magico, e anche da un clima che sta cambiando e che, nel bene e nel male, dona più diversità a qualcosa che è stato sempre dato per scontato.

Chateau Talbot, Clos Floridene, Chateau Lynch Bages, Clos d’Estournei fino a Chateau Branaire Ducru, hanno delineato non solo discrete differenze territoriali. Basta pensare all’Aoc tra Saint-Julien, Saint Estèphe e Pauillac del mitico Médoc, ma anche un accompagnamento all’entrata dei grandi Chateau degustati subito dopo.

Ed ecco qui “i tre moschettieri di Dumas” o, semplicemente, la storia del vino in tre splendidi volumi.

Chateau Latour 2001

Un rosso tra il rubino e il granato che colpisce per la sua luminosità. La frutta ancora c’è ed è ben integrata in dei toni più scuri, come la mora di rovo, il ribes, per poi virare sulla terra bagnata, con un ricordo di tartufo e corteccia. Anche qui si ritrova una nota fumé di cenere arsa, che avvolge il naso senza mai stancare. In bocca non è la classica annata esplosiva di questo iconico vino, ma il taglio di Cabernet Sauvignon e Merlot regalano una pienezza senza confine, con un gioco tra muscolo e morbidezza e un tannino ancora fitto, che dona una straordinaria armonia.

Chateau Mouton Rothschild 1998

Nonostante un’età più avanzata, qui abbiamo un rosso rubino scuro, che vira alla lontana verso il granato, ma con un’intensità più concentrata di colore. Il naso è invaso da una sensazione di mirtillo e fico essiccato con un mantello balsamico che abbraccia tutto il calice, per chiudere con spezie e anche qui una leggera e immancabile parte di cenere. In bocca è più vivo che mai, con una freschezza che fa capire subito che gli anni, per questo Chateau, in fin dei conti non sono tanti, con una coerenza tra naso e bocca incredibile. Un tannino sopraffino che ricorda un guanto di pregiata seta. Anche qui stessi blend, ma con una connotazione gustativa totalmente differente da Latour. Piccola stoccata all’anima: questo vino mi ha emozionato senza ombra di dubbio.

Chateau Lafite Rothschild 2009

Questa bottiglia rappresenta il sigillo di questa serata, con un’annata indubbiamente perfetta a Bordeaux, e se poi ci mettete che è un Lafite Rothschild, tutto diventa ancora più chiaro e nitido. L’assemblaggio dell’annata 2009 è dato da un 82,5% di Cabernet Sauvignon, 17% Merlot e una piccola quantità che si aggira allo 0,5% di Petit Verdot.

Un rosso scuro compatto con leggeri riflessi rubino, impenetrabile come la notte. La frutta ben distinta in tutte le sue espressioni rosse come amarena, mirtilli e lampone, il tutto legato da un sigillo di liquirizia dolce con uno sfondo di legno integrato in modo magistrale. Ma è in bocca la sorpresa, forse qui è il gusto che supera di netto un naso regale, con un attacco morbido e cremoso e dei tannini che massaggiano delicatamente il cavo orale. Quello che mi è rimasto più impresso è questa pennellata sulle gengive che ripartiva e cessava per poi ripartire un’altra volta senza dover fare un altro sorso. Bordeaux rappresenta la longevità, ma qui in questo calice con dentro un giovanotto del 2009, non c’è uno sbilanciamento tra durezze e morbidezze, ma una completa armonia astrale tra la freschezza e i polialcoli, che rende tutto più facile da un punto di vista gustativo, ma quasi impossibile nel trovare una “drink date” futura, lontana, che di certo ci sarà, ma non saprei dire quando.

Una serata Indimenticabile

Sarebbe dovere di cronaca citare tutti i vini degustati, come anche il mitico Chateau Montrose in due annate, ovvero la favolosa ’82 e la mitologica 1990, il Southern Chateau Rayne Vigneau del 1959 e tanto altro. Difronte a tanta potenza, eleganza e tradizione ogni amante del vino potrebbe avere un quadro del mondo di Bordeaux abbastanza chiaro, ma io rimango ancora oggi in un limbo, sconvolto e bombardato da sensazioni paradisiache e da tanti dubbi. Non riesco ancora a trovare un senso a questa serata, il punto della situazione, il nesso, il maledetto filo di Arianna. A volte mi piace essere dissacratorio, dire la battuta al momento giusto nel posto giusto, la parabola sarcastica che ti pulisce da ogni scia d’imbarazzo. Perdere la rotta o il controllo mi ha sempre dato fastidio e non l’ho mai sopportato. Tutto quello che posso dire è che quella sera, subito dopo la Masterclass, rientrando in macchina è partita da sola Walking On The Moon dei Police…e, in qualche modo, la trionfale verso casa mi sembrava in bianco e nero, senza peso, senza gravità. Improvvisamente era tutto più chiaro anche senza spiegazione, senza nessun teorema: solo io e un sorriso che andava a tempo con il rullante di Stewart Copeland. Mi sono accorto di uno spicchio dorato di felicità dal finestrino attaccato al cielo, stava lì di fronte a me, e avrei voluto che quella strada non fosse mai finita.