Anteprima Brunello ’16 e Brunello Riserva ’15 a Roma

Degustazione di un vino icona del Made in Italy nel mondo, in due millesimi che diventeranno storia
Di Saula Giusto

Dire Brunello di Montalcino vuol dire vino rosso aristocratico, complesso, elegante, importante, tra i più longevi al mondo. Vuol dire anche occasioni speciali, avvenimenti importanti, regali preziosi.

Dire Brunello Biondi Santi vuol dire anche origini, storia del Brunello e status symbol.

Anteprima Brunello ’16 e Brunello Riserva ’15 a Roma

A fine novembre ho partecipato alla degustazione in anteprima di Brunello 2016 e Brunello Riserva 2015, riservata ad operatori del settore, organizzato dall’azienda presso la sede della Fis (Federazione Italiana Sommelier) di Roma.

Una conferma dell’eccellenza qualitativa che l’annata 2015 e, a mio modesto parere, ancor più la 2016 sia stata in grado di raggiungere in Toscana, in particolare nella zona del Brunello e del Chianti Classico.

Se poi tale Brunello si chiama Biondi Santi ed è prodotto presso la Tenuta Greppo, si può parlare di apice di tale eccellenza.

Una breve premessa su questo grande vino famoso nel mondo e sulla sua patria toscana è necessaria, per i pochi che ancora non ne conoscessero la storia e il territorio di origine.

Montalcino e il suo Brunello

Si parla di Montalcino, sito in Toscana, a sud e in provincia di Siena, in un territorio collinare in parte coperto di boschi di straordinaria bellezza, riconosciuto dal 2004 dall’Unesco come patrimonio mondiale dell’umanità.

Gli ettari di Sangiovese destinato al Brunello sono passati dai 64 ettari del 1967 (anno di costituzione del Consorzio) agli attuali 2.100 ettari, per una produzione di poco più di 2.000 ettolitri negli anni ‘60, che ha superato gli 80.000 nel 2020.

Territorio considerato particolarmente vocato da oltre duemila anni, Montalcino godeva in passato di ampia notorietà per la produzione di vino bianco dolce: il Moscadello, noto già al tempo dell’Impero Romano e la cui fortuna e fama aumentano con l’affermazione della Signoria dei Medici. Si pensi che Francesco I ne inviò varie partite alla regina Elisabetta I d’Inghilterra e Cosimo III alla Regina Maria Anna e Re Carlo II di Spagna. La coltivazione della vite e la produzione di vino, a Montalcino, sono da sempre stati favoriti dalle caratteristiche morfologiche, geologiche e climatiche uniche del territorio, a cui si aggiunga la vicinanza con la via Cassia, proficua per il commercio.

Biondi Santi
La tenuta
Biondi Santi, storia di una leggenda

Ma la storia del Brunello di Montalcino inizia con la famiglia Biondi Santi, a fine ‘800, grazie a Ferruccio Biondi Santi, il quale mette a frutto l’esperienza vitivinicola del nonno materno, Clemente Santi, farmacista, letterato, studioso dell’agricoltura senese e appassionato viticoltore, selezionando un particolare clone di Sangiovese, detto “grosso”, nella sua Tenuta del Greppo a Montalcino. La vinificazione in purezza di queste uve diede avvio ad un inarrestabile processo, che divenne un successo per tutta la Toscana. Vinificare unicamente Sangiovese Grosso, non in blend con altre uve, fu un’idea rivoluzionaria per quei tempi. Nel resto della regione, infatti, non esisteva alcun vino prodotto con una sola varietà, tanto meno 100% Sangiovese, quasi sempre vinificato con altre uve, anche a bacca bianca.

Già dalle prime vendemmie i vini Biondi Santi iniziarono a riscuotere notevole successo, ma fu con la vendemmia 1888 che venne presentata al mondo la prima annata di Brunello di Montalcino. In seguito, a portare sull’olimpo il Brunello e la cantina Biondi Santi è stato Franco Biondi Santi che ha guidato per decenni la cantina, mai accettando compromessi. Franco imparò le tecniche della vinificazione dal padre Tancredi, uno degli enologi italiani più celebrati della metà del ‘900, e quando ereditò la tenuta della famiglia Greppo nel 1970, pur rimanendo fedele alla tradizione di suo padre, cercò di migliorare la qualità. Nello stesso anno, infatti, iniziò una selezione clonale delle sue vecchie viti del Greppo, provenienti dalla selezione massale iniziata dal nonno Ferruccio a metà dell’800, in collaborazione con la Facoltà di Agraria dell’Università di Firenze. Dai diversi cloni di Sangiovese ottenuti, quello divenuto ufficiale è il B-BS-11 (Brunello Biondi Santi, vite n° 11), il clone dal quale sono state prelevate le gemme poi innestate. Clone che è entrato a far parte dell’Albo dei “Vitigni Raccomandati” dell’Unione Europea.

La dinastia Biondi-Santi ha così creato un mito, codificandone anche le regole: Ferruccio ideò ante litteram una sorta di protocollo di produzione nel 1932, ma è a Franco Biondi Santi che si deve il disciplinare della nuova Doc, poi divenuta Docg.

Il Brunello Biondi Banti

Il Brunello di Montalcino Biondi Santi è prodotto da 100% di Sangiovese Grosso coltivato nell’omonima tenuta, che si estende su una superficie di 47 ha. I terreni marnosi ricchi di scheletro, il microclima unico del luogo, la marcate escursioni termiche giornaliere e l’ottima esposizione, hanno creato le condizioni ideali per la coltivazione di uve di alta qualità. Le rese sono estremamente basse (circa 30-50 quintali per ha) e la raccolta viene effettuata manualmente, selezionando grappolo per grappolo. In cantina viene fermentato in tini di cemento con uso di lieviti indigeni e trascorre il lunghissimo invecchiamento in grandi botti di rovere di Slavonia e bottiglia.

L’acquisto della tenuta nel 2016 da parte della francese EPI

Come quasi tutti sanno, alla fine del 2016 la Tenuta il Greppo è stata acquistata dalla EPI, un grande gruppo indipendente francese controllato dalla famiglia Descours, già proprietaria di Piper-Heidsieck e Charles Heidsieck (nella regione della Champagne) e di Chateau La Verrerie (nella Valle del Rodano).

All’epoca la notizia destò tanto clamore, a tratti sgomento e sicuramente è rimasto l’amaro in bocca di una mancanza di coraggio e lungimiranza da parte di investitori italiani.

Ma dalla vigna alla cantina la forza produttiva non è cambiata e l’ambizione di Epi si è rivelata quella di affermare Biondi-Santi come il vino italiano più ricercato al mondo. Per questo è stato creato un piano di sviluppo importante per perseguire nuovi livelli di eccellenza e nel ’18 sono stati fatti grandi investimenti in vigna e in cantina, per elevare la qualità eredità dei precedenti titolari ad un livello ancora superiore ed enfatizzare il concetto di cru per i vini Biondi Santi. La selezione già rigorosa, messa a punto da Franco Biondi Santi, è stata affiancata da un processo di parcellizzazione, sia in vigna che in cantina, per tenere separate le uve dei vigneti più significativi. Un processo che durerà ancora anni e consentirà di sviluppare una conoscenza migliore delle caratteristiche e delle potenzialità di ogni vigneto.

A guidare la storica azienda oggi è Giampiero Bertolini, nominato Amministratore Delegato a novembre 2018, che con la sua passione per i grandi vini toscani e una lunga e importante esperienza alle spalle, tiene ben salde le redini del nuovo sviluppo. Viene affiancato da Federico Radi, Direttore tecnico, che prosegue la secolare tradizione vitivinicola della Tenuta Greppo.

Giovanni Lai
La degustazione

La degustazione è stata introdotta da Luca Nunziante, il Sales Manager dell’azienda, e poi condotta da Giovanni Lai, enologo, storico docente della Fondazione Italiana Sommelier e Direttore Commerciale Europa, che ci ha anche raccontato la lunga storia dell’azienda e descritto i due vini serviti.

Per quanto riguarda l’andamento delle due annate degustate, considerate in generale e non solo per i Brunelli Biondi Santi, sia la 2015 che la 2016 sono state valutate con il massimo dei punteggi, praticamente in tutte le pubblicazioni di settore.

La degustazione
Il racconto dell’andamento climatico delle due annate e le mie note di degustazione

Si premetta che si dovrebbe sempre ritenere poco esatto generalizzare, riguardo l’andamento delle annate, in zone in cui si producono grandi vini, come a Montalcino, dove l’altitudine dei vigneti varia da 100 a 660 mt. e temperature e precipitazioni variano in modo significativo da nord a sud.

Disponibili sul mercato da marzo 2022, entrambe le annate degustate sono state invecchiate per tre anni in botti grandi di rovere di Slavonia: dalla vendemmia alla vendita si calcolino 6 anni totali per il Brunello 2016 e ben 7 per il Riserva.

Docg Brunello di Montalcino Riserva 2015

L’inverno è stato scarsamente piovoso, con temperature basse nei primi mesi dell’anno. Precipitazioni primaverili nella media stagionale hanno permesso alle piante di superare bene i mesi estivi, risultati molto caldi. Settembre si è rivelato mite, con buone escursioni termiche giorno/notte e ha favorito la perfetta maturazione delle uve.

Rosso rubino scuro, unghia granato, consistente. Al naso si schiude con lentezza, ma diventa più ampio, palesando a poco a poco una breve nota ci ciliegia e amarena matura e sotto spirito, che subito lasciano il passo alla grafite, al cardamomo, al sottobosco, al tabacco scuro e cacao amaro in polvere, al lieve sandalo, su un finale tostato e balsamico. Al palato potente, caldo muscolare, morbido, si fa notare per l’ottima sapidità e l’estrema coerenza. Chiude molto lungo, lasciando strascichi di note mentolate.

Ho avuto l’impressione che fosse in una fase ‘interlocutoria’, di cambiamento, premessa di una nuova espressione organolettica. Meglio: toccherà riassaggiarlo tra qualche tempo!

Docg Brunello di Montalcino 2016

L’andamento stagionale si è rivelato molto regolare: un inverno poco piovoso e poco rigido (raramente si sono raggiunti i – 6 gradi), seguito da una primavera finalmente fresca, che ha portato la giusta quantità di pioggia, garantendo uno stato vegetativo ottimale per fioritura e allegazione. Le temperature estive si sono rivelate meno torride rispetto alle precedenti, dal clima secco, ventilato, con buona escursione termica giornaliera e timide piogge fondamentali, che hanno permesso una lunga e perfetta maturazione delle uve. L’epoca vendemmiale si è dunque rivelata tra le migliori di sempre, con poca e lieve pioggia, giunta nei momenti più opportuni.

Rosso rubino leggermente meno scuro, unghia granato, consistente. L’olfatto intriga e seduce, in un intenso vortice di fiori e frutti in successione continua: viola e ciliegia, rosa e melagrana, ribes e violetta e rosa canina. Poi sopraggiungono i terziari e tutto il resto di un corredo olfattivo raffinato, che aumenta con il respiro nel bicchiere e i secondi che trascorrono: lieve incenso, tabacco biondo, alloro fresco, chiodo di garofano, cacao, canna di fucile, intrisi di note mentolate e curiosa lavanda. E potrei continuare. Al palato è di un’eleganza disarmante, grazie ad una beva succosa, resa leggiadra da grande freschezza, giusta sapidità e calore, supportati da un grande frutto e da un tannino di una setosità perfetta. Lunghissimo, interminabile, indimenticabile.

La 2016
Le conclusioni

Due annate fatate, senza dubbio. Una sorta di ‘karma’ positivo regalato dalla natura dopo una serie di annate non facili, culminate nella difficilissima 2014.

A detta di molti e anche a mio modesto parere, la 2016 vince la partita: anche la 2015 è sicuramente una grande annata, caratterizzata dal suo andamento stagionale, più affine al gusto anglosassone, dall’olfatto più evoluto, meno floreale, dal frutto caldo ed il palato opulento e muscolare.

La 2016 s’impone per eleganza, presentandosi in una condizione da ‘allineamento di pianeti’, specchio di un’annata di una qualità unica, mai riscontrata dopo la 2010: un frutto succoso, quasi masticabile, si accompagna ad una trama tannica perfetta, ad una spalla acida importante, da grandi sfide con il tempo, su un corredo complesso, preludio di magnifiche evoluzioni. Fascino puro.

Rare Champagne Millesimè 1998
Il finale della serata, a base di Rare Champagne Millesimè 1998

La serata si è conclusa in bellezza a base di Rare Champagne, emblema del prestigio di Piper Heidsieck, la storica maison storica fondata nel 1785. Una bollicina millesimata rara come il suo nome, prodotta unicamente in alcune annate dalle rese eccezionalmente basse.

Fu prodotto la prima volta nel 1885, giorno delle celebrazioni per il centenario dalla presentazione della prima bottiglia Cuvée di Piper-Heidsieck alla Regina Maria Antonietta, in cui fu chiesto a Pierre Karl Fabergé, il gioielliere dello Zar Alessandro III, di creare una bottiglia preziosa e unica in oro, diamanti e lapislazzuli. Cento anni dopo, il noto gioielliere parigino Van Cleef & Arpels, ispirandosi all’originale del 1885, creò una bottiglia di alta gioielleria per il primo millesimato di Rare, Rare Millésime 1976. Da quella prima bottiglia, lo Champagne Rare è stato prodotto solo undici volte: 1976, 1979, 1985, 1988, 1990, 1998, 1999, 2002, 2006 e due rosè 2007 e 2008. Dal 2018 è un marchio indipendente da Piper-Heidsieck.

A noi ‘è toccata’ una magnum di 1998 e, che dire, a questo mondo c’è chi può… e sicuramente il grande gruppo Epi può!

70% Chardonnay e 30% Pinot noir, 16 anni sui lieviti; dégorgement nel 2015; dosaggio di 10 g/l.

Sapete come si dice: 23 anni e non sentirli! Dorato cristallino, dalla bolla finissima, elegante e dritto, intenso, tra note di agrume ancora fresco, fiori di pesco, bergamotto, tiglio, frutta secca, poi spezie orientali e tanta pietra focaia e selce, su un finale di iodio. Al palato ancora freschissimo, cremoso, tanto minerale, risponde punto su punto all’olfattiva, dritto fino alla fine, in una lunghissima Pai estremamente coerente.